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Previsione inflazione in Italia nel medio-lungo termine:

cosa stanno facendo le aziende per contrastarla?

Il forte aumento dei prezzi che stiamo vivendo ormai da diversi mesi è un fenomeno globale che non sembra rallentare in modo significativo – salvo forse negli Stati Uniti dove il tasso d’inflazione su base annua è sceso dal 7,1% di novembre al 6,5% di inizio anno – e che molti osservatori ritengono destinato a permanere.

Ma quali sono le previsioni sull’inflazione dei prossimi anni? Come saranno i prezzi nel 2023?

Su questo tema, l’ufficio francese di EIM ha svolto recentemente una ricerca intervistando più di cento imprenditori, capi azienda, CFO e Responsabili delle Risorse Umane appartenenti ad aziende industriali, della distribuzione e dei servizi, ponendo loro le domande seguenti:

  • Come misurate l’inflazione?
  • Qual è l’impatto sulla vostra attività?
  • Come vi state organizzando per contrastarne gli effetti o addirittura per trarne dei vantaggi?

Con l’obiettivo di ricavare delle buone idee e delle best practices che possano servire a tutti.

In questo articolo riportiamo i principali risultati della ricerca con alcune indicazioni che riteniamo possano servire anche alle aziende italiane, con l’intento di creare un’intelligenza collettiva su un tema di attualità destinato ad accompagnarci ancora, forse per anni.

Una preoccupazione destinata a permanere

Come sta andando l’inflazione in Europa e nel mondo? Gli intervistati concordano nel ritenere la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina le due cause principali dell’inflazione, soprattutto il fatto che due eventi così negativi si siano manifestati in rapida successione.

Le difficoltà di approvvigionamento dovute alla pandemia – e ad altri fenomeni contingenti avvenuti nello stesso periodo come il blocco del canale di Suez del marzo 2021 – hanno messo in evidenza la fragilità di catene logistiche troppo lunghe e complesse conducendo sia allo shortage di alcune materie prime strategiche che all’esplosione dei costi di trasporto (ad esempio del trasporto marittimo dove i costi per container sono decuplicati nel 2021 rispetto al periodo pre-Covid).

Allo stesso modo, l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo e la guerra che ne è derivata, sta comportando cambiamenti strutturali nel mercato globale dell’energia con conseguenti aumenti dei prezzi che hanno un impatto molto significativo in pressoché tutti i settori economici, nonché nella vita dei cittadini.

Meno citata ma ugualmente decisiva – secondo alcuni degli intervistati – è la speculazione portata avanti da alcuni operatori soprattutto nel mercato dell’energia e di alcune commodities, a danno innanzitutto dei consumatori, che ha drenato e sta tuttora drenando una quota importante dei risparmi “forzati” accumulati dalle famiglie durante la pandemia (un periodo piuttosto lungo nel quale non si è viaggiato, non si è andati al cinema o al ristorante, non si sono fatti acquisti di beni semidurevoli, etc.).

La combinazione di questi tre elementi conduce la quasi totalità degli intervistati a considerare “l’inflazione vicina al 10%” un fenomeno destinato a permanere nei prossimi anni. Sconosciuta ai più – almeno in Europa – negli ultimi 25 anni, a lungo invocata – ad esempio dalla BCE – negli anni in cui non andava oltre l’1%, secondo i nostri testimoni ci dovremo convivere a lungo.

Così come le imprese dovranno fronteggiare gli effetti economici e sociali della spirale prezzi-salari, che sembravano relegati alla storia delle relazioni industriali degli anni ’70 e ‘80 del secolo scorso.

È interessante notare che per molti degli intervistati si tratta di un fenomeno inedito, una nuova esperienza: come afferma il CFO di un’azienda internazionale nel settore automotive «a meno che non abbia lavorato a lungo in Brasile o in Argentina, un CFO che si è formato negli ultimi 20 anni in Europa non ha nessuna esperienza di come fronteggiare l’inflazione».

Salvo alcune eccezioni, le aziende non sono preparate a gestire l’inflazione e a padroneggiare i meccanismi che legano l’inflazione ai costi d’acquisto, ai costi del prodotto, alla capacità di ribaltare gli aumenti dei costi sui prezzi di vendita, e non hanno ancora tutta l’agilità e la velocità necessarie a far evolvere la propria offerta di prodotti e servizi in modo da annullare – o almeno ridurre – gli effetti dell’inflazione.

La riscoperta del pricing power

Un fenomeno che accomuna quasi tutti gli intervistati è la riscoperta accelerata del Pricing Power, concetto noto e ampiamente descritto nei manuali di strategia che oggi viene rielaborato e implementato da molte aziende in modo metodologicamente più strutturato e in un contesto di urgenza.

Anche se alcune aziende ammettono di aver aumentato i listini del 15 o 20% “alla cieca” come prima reazione, prevale un approccio strutturato nella valutazione (per categoria di prodotto, per canale, per cliente, in rapporto ai concorrenti) dei fattori che determinano il pricing power e della loro ricombinazione, che ad oggi vede prevalere le aziende che posseggono uno o più dei seguenti vantaggi:

  • il prevalere della domanda sull’offerta, il più ovvio e immediato;
  • godere di una posizione di leadership (di mercato, di costo, d’innovazione, di notorietà), consapevolezza che deriva da un benchmark dettagliato su tutto il portafoglio di offerta dell’azienda, esercizio che in diversi casi mette in evidenza in modo inedito le differenze tra i prodotti e servizi “commodity” e quelli che presentano caratteristiche di unicità;
  • la presenza di significative barriere all’uscita (soprattutto per aziende B2B) quali lunghi tempi di omologazione, investimenti che sarebbe troppo penalizzante mettere a perdita, prodotti caratterizzati dall’offerta di un fornitore specifico che lo rendono insostituibile, etc.

Alcuni settori gestiscono l’inflazione meglio di altri

Sono prevalentemente le aziende che operano in settori B2B a reagire meglio – secondo i nostri intervistati – all’aumento dei prezzi e all’inflazione.

Tra le indicazioni operative più interessanti citiamo:

  • la creazione di veri e propri Pricing Teams la cui missione è misurare l’effetto dell’inflazione dei prezzi d’acquisto sui costi del prodotto/servizio e di stabilire in modo dettagliato – per prodotto, per cliente, per canale, per area geografica – gli aumenti di prezzo. Con un monitoraggio almeno mensile dei risultati raggiunti;
  • la presenza di clausole di indicizzazione e la condivisione a priori dei meccanismi di indicizzazione dei componenti della struttura dei costi (ad esempio nel settore della componentistica automotive o nell’aerospace) per forniture che sono tipicamente pluriennali;
  • la fissazione dei prezzi sulla base della domanda puntuale (Yeld Management), con l’obiettivo di abbandonare progressivamente il concetto di prezzo fisso e comparabile;
  • per diverse aziende EPC, l’adozione immediata di misure preventive come la riduzione dei tempi di validità delle offerte, l’affinamento delle clausole di revisione dei prezzi, e più in generale la messa in atto di misure volte a ridurre i lead time di tutte le attività di commessa.

Due caratteristiche fondamentali accomunano queste iniziative:

 

  1. 1. Si tratta di azioni che rendono necessaria l’attivazione di team di lavoro multifunzionali, dove operano insieme risorse che provengono dal marketing e dalle vendite, dall’R&D, dalla produzione, dagli acquisti, dalla supply chain, oltre che naturalmente dal Finance.
  2. 2. Come in tutte le situazioni che richiedono processi di trasformazione e cambiamento accelerato, le soluzioni vengono dalla capacità di integrare le varie funzioni dell’azienda. Non a caso, per alcuni intervistati – i più ottimisti – l’inflazione è un’occasione da non perdere per ripensare la strategia, l’offerta commerciale, i processi e l’organizzazione e analizzare criticamente la margin generation in modo da recuperare competitività sul medio/lungo termine;il ruolo del capo azienda nell’assicurare leadership e integrazione nei processi descritti è fondamentale, così come lo è quello del CFO nel garantire metodo, informazioni, competenza e visione strategica.
    Un ruolo quest’ultimo al quale si richiede sempre più proattività e capacità operativa, in contesti di business fluidi e caratterizzati da incertezza e scarsità di informazioni.

Nuove sfide per il mondo consumer

Dalla ricerca emerge che la filiera della grande distribuzione e in generale il mondo B2C è quello che fa più fatica a mettere in atto misure efficaci di contenimento degli effetti dell’inflazione.

Aumenti di prezzo indiscriminati guidati dalla pura logica della “sopravvivenza” spesso si rivelano insufficienti ed esasperano clienti e consumatori, ulteriori iniziative di riduzione costi anche importanti si rivelano difficili dopo due anni di pandemia in cui molto è già stato fatto in quella direzione, il redesign-to-cost di prodotti e servizi non performanti – per quanto necessario – produrrà effetti non immediati.

Detto questo, dalla ricerca emerge che molte aziende B2C – con le spalle al muro – hanno avviato con ancora maggiore decisione cantieri di riduzione costi, semplificazione della gamma, ridisegno dei prodotti, digitalizzazione, guidate da un approccio “di trasformazione”: se vogliamo sopravvivere dobbiamo cambiare tutto.

In questa prospettiva, per alcune aziende l’inflazione si rivela un acceleratore di processi di cambiamento che prima erano magari nella testa dell’imprenditore o del CEO, solo abbozzati, spesso rinviati o dilatati nel tempo, e che il senso di urgenza imposto dall’inflazione ha messo in cima alla lista delle priorità.

L’inflazione può rivelarsi un acceleratore di processo per alcune aziende?

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Come approcciare efficacemente il fenomeno dell’inflazione?

Abbiamo elencato alcuni suggerimenti pratici che riteniamo possano essere utili alle aziende italiane ad operare nel medio-breve termine