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Passaggio generazionale: l’azienda
non è solo “un affare di famiglia”

Imprenditori-titani:

un modello di gestione che funziona ancora?

Hanno costruito modelli aziendali in grado di imporre l’Italia nel mondo, hanno plasmato a propria immagine e somiglianza organizzazioni che sono diventate la fortuna di interi territori, hanno trasformato le loro intuizioni in macchine perfettamente operative pure in mancanza di specifiche competenze finanziarie, gestionali o organizzative.

Per cinquant’anni gli imprenditori-fondatori, veri e propri titani e demiurghi nei confronti delle loro aziende, hanno prosperato senza bisogno di operare sostanziali cambi di rotta sul modello di gestione piramidale costruito intorno a loro stessi.

Oggi, però, non è più possibile: le crisi cicliche sono molto più repentine, la pressione sui margini impone efficienze superiori che si possono generare solo attraverso una crescita dimensionale. Le aziende diventano più grandi e devono imparare a misurarsi con molti più competitor e in un contesto globale.

La complessità delle problematiche e dei processi impone alle aziende un vero approccio manageriale.

Ricominciare da zero e snaturare l’identità?
Assolutamente no

Managerializzare non vuol dire che tutto il patrimonio culturale dell’organizzazione debba essere rimesso in discussione. L’azienda imprenditoriale non deve snaturare la propria identità, ma cominciare a strutturarsi e ad aprirsi al nuovo.

Come gestire il passaggio generazionale in azienda? La transizione non si realizza con un semplice passaggio di testimone alla seconda o terza generazione della famiglia. Questo, anzi, è un rischio, perché possono nascere attriti tra una gestione portatrice di nuove idee o alla ricerca di una legittimazione al di là del cognome e un vecchio management che vuole difendere lo status quo.

Il passaggio di testimone deve avvenire sul piano del management e del business, tenendo conto anche degli aspetti privati, psicologici e familiari. È molto utile predisporre un codice di successione nel quale siano chiariti i requisiti di introduzione e partecipazione della famiglia alla vita aziendale, magari a valle o in coincidenza di un processo propedeutico di managerializzazione o di tutorship.

Ricambio generazionale nelle imprese:
il fattore “come lui nessuno mai”

Una certezza su tutte: non può esistere il manager in grado di fare quello che faceva l’imprenditore così come lo faceva lui o come faceva il predecessore di lungo corso.

È necessario spacchettare il problema, formalizzare la strategia, redigere un business plan chiaro e leggibile da tutti, preparato da colui che dovrà eseguirlo. E poi definire i tempi della transizione, di solito non inferiori ai tre anni, al termine della quale l’imprenditore-fondatore esce definitivamente di scena.

Durante questo periodo si scompone e si ricompone l’azienda un segmento alla volta in modo da renderla gestibile da figure professionali formate secondo criteri manageriali.

L’obiettivo finale? Passare progressivamente da una “gestione di persone” a una “gestione di processi governati da persone” attraverso passaggi strutturati, codificati e ripetibili.

Un manager, non un avatar

Per il “padre fondatore” di un’azienda – così come per molti grandi leader – la tentazione è quella di assicurarsi una continuità individuando una figura che, come per clonazione, restituisca il vigore giovanile che lo caratterizzava un tempo: meglio ancora se figlio o nipote.

È rischioso però sovrapporre il ruolo manageriale a quello familiare: spesso i membri della famiglia azionista che operano in azienda vi trasferiscono, anche involontariamente, anche i conflitti maturati nel contesto privato.

Per intraprendere un percorso di managerializzazione non serve dunque creare un effetto avatar e non serve replicare un one man show: occorre un processo di elaborazione intellettuale che segni un’autentica discontinuità rispetto al passato.

Le parole sono importanti. E anche i numeri

Il manager che arriva da fuori di solito è abituato a leggere i numeri, senza dare troppo peso ai rapporti personali, anche perché in genere non ha fatto in tempo a costruirli.

E questo è un bene. Il suo nuovo linguaggio dev’essere compreso dall’azienda, ma anche il manager deve sforzarsi per entrare in una mentalità e in un vero e proprio gergo che si sono sedimentati nel tempo.

Uno dei cambiamenti fondamentali che il manager deve far passare è insegnare alle varie figure a comunicare fra di loro, alleggerendo il compito dell’imprenditore e consentendo il rispetto di processi già codificati e condivisi.

Niente bluff: serve un interim manager

Quando l’imprenditore – di persona o tramite i suoi consulenti permanenti – decide di gestire il ricambio generazionale in azienda, c’è da insospettirsi: è molto probabile che si stia tentando una manovra gattopardesca per non mettere in atto nessun autentico cambiamento.

Per voltare davvero pagina l’ideale è avvalersi di un interim manager, una figura che gestisca – pro tempore – il salto generazionale e la modernizzazione dell’azienda imprenditoriale forte di esperienze già vissute in contesti più grandi, più complessi e più globali.

È bene che sia “sovradimensionato” rispetto al ruolo specifico, alla complessità dell’attività e all’azienda stessa, che abbia cioè competenze tali da portare una cultura nuova nel contesto in cui si inserisce.

Managerializzazione delle imprese familiari: costruire ponti.

L’interim manager deve essere in grado di costruire prima il “bridge”, il modello manageriale che consentirà successivamente di inserire una figura che avrà in mano la gestione operativa dell’azienda, gestendo un passaggio graduale che il più delle volte il manager di carriera non ha modo di portare avanti con successo.

Deve parlare il linguaggio dei numeri e dei processi, deve essere operativo e rappresentare un “role model” per insegnare agli altri facendo. Ma il suo atteggiamento deve essere improntato anche al rispetto e all’attenzione nei confronti delle persone alle quali ha il compito di indicare una nuova strada.

Servono elasticità, intelligenza emotiva, capacità di ascolto. Solo così l’azienda avrà la garanzia di una permanenza nel tempo che trascenderà il dato anagrafico del suo fondatore.

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