La prospettiva di chi investe in maggioranza
La voce della Community
Stefano Ghetti, Partner WISE EQUITY SGR SPA
Affidare la guida operativa di una PMI a un nuovo management dopo un’operazione di Private Equity è una decisione strategica tanto delicata quanto decisiva. Non si tratta solo di nominare un nuovo CEO o ridefinire ruoli: è una vera e propria ridefinizione dell’identità aziendale, che passa attraverso allineamento, governance e cultura organizzativa.
Ma come si costruisce davvero un equilibrio tra fondo investitore e team di gestione? E quali sono i rischi nascosti dietro un passaggio generazionale solo apparente?
Stefano Ghetti, Partner di Wise Equity SGR e profondo conoscitore delle dinamiche delle PMI italiane, condivide la sua esperienza e le sue riflessioni nel contributo “La prospettiva di chi investe in maggioranza”, all’interno del capitolo 10 del libro Gestire il Business Fluido, scritto dai Partner EIM e pubblicato da Hoepli.
Mi occupo di investimenti di Private Equity da circa vent’anni. Insieme ai miei soci e alla nostra squadra di investimento abbiamo completato più di 30 investimenti diretti su PMI italiane, quasi sempre in maggioranza, a cui si aggiungono più di 60 acquisizioni eseguite con le partecipate, i cosiddetti “add-on”.
Uno degli aspetti più rilevanti in un’acquisizione di una PMI da un imprenditore è la scelta del manager che gestirà l’azienda. Abbiamo vissuto un po’ tutte le casistiche: l’azienda che aveva già un management team professionale che è stato confermato o solo marginalmente rafforzato, la nomina di un nuovo CEO in sostituzione dell’imprenditore, l’imprenditore CEO che vende l’azienda, co-investe e rimane a gestire l’azienda.
Tutte queste modalità hanno dimostrato di funzionare, a patto che ci sia un forte allineamento tra il fondo e chi gestisce l’azienda su cosa si farà insieme e su quali saranno le regole di governance. Innanzitutto, ci deve essere allineamento su come la società dovrà essere rafforzata nel suo management, in coerenza con gli obiettivi di piano. Sempre più spesso prima di investire eseguiamo una Due Diligence organizzativa per capire dove sono i gap manageriali e li condividiamo con chi gestirà l’azienda, per trovare un allineamento.
La presenza di un investitore di Private Equity permette di attrarre manager altrimenti non alla portata dell’azienda, e questo spesso fa la differenza.
È inoltre fondamentale che con il CEO ci sia condivisione sull’obiettivo di costruire un’organizzazione in cui ci sia una definizione chiara di ruoli e responsabilità con processi decisionali formalizzati, trasparenti e sistemi di deleghe strutturati. Sembra ovvio, ma le realtà aziendali di piccole e medie dimensioni spesso sono fortemente incentrate sulla figura dell’imprenditore, e non esistono reali meccanismi di delega. È evidente che questo processo è più nelle corde del manager professionista, abituato a concepire l’azienda come un’organizzazione in cui esistono deleghe che vanno rispettate; tuttavia, ci sono imprenditori con forti competenze di management che sono stati capaci di uscire dalla logica della personalizzazione dell’azienda. Questo aspetto deve emergere chiaramente nella fase di Due Diligence e deve essere un processo in atto da diversi anni.
È pericoloso, infatti, investire in aziende con imprenditori disposti, a parole, a fare questo passaggio, ma che nella sostanza vedono ancora una forte presenza della famiglia in diverse cariche manageriali, con una gestione fortemente accentrata nelle mani di un dominus che è in definitiva un “padre padrone”.
Talvolta per timore di perdere il “goodwill” insito nella figura dell’imprenditore si è tentato di utilizzare soluzioni ibride con la nomina di un nuovo CEO e il mantenimento di un ruolo manageriale per l’imprenditore. Sono percorsi molto complessi e destinati spesso a fallire. Per quanto l’imprenditore si dica disponibile a fare un passo indietro, la sua sola presenza in azienda può generare cortocircuiti nocivi. Non dobbiamo dimenticare che nelle aziende di piccole e medie dimensioni i manager chiave sono stati generalmente assunti dall’imprenditore e pertanto continuano a riconoscere una leadership di fatto all’imprenditore sebbene le deleghe siano passate al nuovo CEO.
Al primo problema i manager si rivolgeranno all’imprenditore scavalcando il CEO, rendendo la gestione di fatto impossibile. A peggiorare la cosa è la frequente presenza di famigliari nel management team, cosa che può confondere dinamiche di business con dinamiche domestiche creando situazioni molto complicate da gestire per il CEO. La convivenza in azienda di manager e imprenditore è ipotizzabile solo per tempi limitati e predefiniti in modo da assicurare un ordinato passaggio di consegne.