Internazionalizzazione: l’Europa non basta
La voce della Community
Dardanio Manuli, Chairman e CEO Manuli Ryco S.p.A.
Affermarsi davvero sui mercati internazionali richiede più di un semplice presidio commerciale oltre confine. Per molte aziende italiane, l’Europa rappresenta un’estensione naturale del mercato domestico. Ma è solo spingendosi oltre, nei contesti extraeuropei più complessi e competitivi, che si può parlare di vera internazionalizzazione.
Come si affronta dunque una crescita globale che sia sostenibile e strategica? Quali competenze servono per guidare questa trasformazione e superare le barriere culturali, operative e manageriali che spesso si incontrano lungo il percorso?
Nel suo contributo al libro Gestire il Business Fluido, scritto dai Partner EIM e pubblicato da Hoepli, Dardanio Manuli – Presidente e Amministratore Delegato di Manuli Rubber Industries e membro della #EIMCommunity – racconta l’evoluzione dell’azienda da player europeo a realtà globale. Un percorso fatto di scelte coraggiose, investimenti strutturali nei Paesi chiave e una chiara strategia nella costruzione dei team: puntare su risorse giovani, capaci, determinate, in grado di crescere con l’impresa e interpretarne l’identità nel mondo.

Quando iniziai a lavorare per Manuli Rubber Industries, nel lontano 1992, si trattava di un’azienda B2B sostanzialmente mono prodotto (tubi flessibili per alta pressione), mono stabilimento (Ascoli Piceno) e con la sede direzionale a Milano. Nell’immaginario collettivo si trattava già di un’azienda internazionale, in quanto esportava la stragrande maggioranza della produzione e possedeva alcune filiali commerciali all’estero (Germania, Francia, UK, Singapore).
La società soffriva però sia del classico nanismo italico, troppo piccola per competere a lungo termine sui mercati extra Europei, sia del complesso italico nel modus operandi, per essere realmente competitiva. Per complesso intendo alcuni difetti specifici al contesto culturale ed economico italiano dell’epoca. In primis, l’ingerenza costante delle istituzioni pubbliche e dei sindacati, quasi sempre antagonisti dell’azienda e completamente avulsi dalle logiche di mercato e della libera concorrenza. In secondo luogo, una visione obsoleta del mondo e una scarsa visione internazionale da parte del management (spesso accompagnata da competenze linguistiche carenti) e la glorificazione del falso mito del “Made in Italy”.
Per proseguire nel discorso, è forse necessario definire meglio il concetto di internazionalità, partendo da cosa non è; a mio modo di vedere, per un’azienda italiana, non può essere il mercato europeo, che è da considerarsi a tutti gli effetti il mercato domestico tout court. Ritengo quindi che un’azienda debba generare in Europa almeno quattro volte il fatturato italiano, semplicemente per essere un player nel mercato domestico.
Ne consegue che l’internazionalizzazione vera, e molto più difficile da realizzare, è quella extraeuropea. Questa visione è dettata dal fatto che i mercati extraeuropei non possono essere presidiati da semplici attività commerciali, ma necessitano di infrastrutture in loco per svilupparsi. Parliamo di unità produttive, se non addirittura di sviluppo prodotto, di Hub logistici, di sistemi ERP in lingua locale, nonché di management principalmente locale per coprire a 360 gradi tutte le operations.
Quest’ultimo punto è di gran lunga il più difficile da implementare correttamente per mille motivi. Mi limiterò a citarne uno: la scarsa attrattività delle aziende italiane per il management locale se paragonate alle alternative americane, giapponesi, tedesche, francesi. Fortunatamente le aziende private sono spesso delle vere e proprie eccellenze nei loro settori e, con il tempo, riescono a rendersi credibili quanto la concorrenza estera. Per ovviare a questo problema, nel nostro piccolo in Manuli Rubber abbiamo sempre puntato moltissimo sui giovani, sia expat che locali, in quanto è spesso più facile attrarre e fidelizzare trentenni in carriera con potenziale e personalità, piuttosto che affermati e costosissimi manager senior.