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Controllo di gestione: l’importanza di trasformare

La voce della Community

Dino Falciola, CEO Oleodinamica Marchesini SPA

Tonnellate di dati non servono a nulla se non vengono trasformati in informazioni semplici, comprensibili e azionabili. È qui che il controllo di gestione fa davvero la differenza: permette di leggere l’andamento aziendale, prendere decisioni mirate e – soprattutto – agire.

Ma quali sono i veri indicatori da monitorare? E quali strumenti aiutano a orientarsi nel caos?

Nel suo contributo al libro Gestire il Business Fluido, scritto dai Partner EIM e pubblicato da Hoepli, Dino Falciola – membro della #EIMCommunity – offre una guida essenziale e concreta. Basandosi su anni di esperienza in turnaround e situazioni critiche, individua tre focus imprescindibili: capire dove si guadagna e dove si perde, valutare le decisioni make or buy e ridurre il ciclo del circolante.

Semplificare la complessità, comunicare con dati chiari e guidare il cambiamento sono le chiavi di un controllo di gestione davvero efficace. E quando questo si apre anche all’arena competitiva, diventa uno strumento strategico per crescere e competere sul mercato.

Matteo Lunelli

Due fatti mi hanno sempre lasciato basito: la mole sempre crescente di dati elementari disponibili, raccolti spesso compulsivamente, nonché l’incapacità di trasformarli in informazioni per comprendere l’andamento aziendale e guidare l’azione.

Ogni manager stagionato può, tuttavia, estrarre un affilato rasoio di Occam e cinicamente ridurre la complessità all’essenziale.

Nel corso del tempo l’esperienza con turnaround e situazioni critiche mi ha portato a focalizzare l’attenzione subito su tre fattori critici:

  1. Dove guadagno? Dove perdo?
  2. Decisioni di make or buy.
  3. Accorciamento del ciclo del circolante, in particolare dei materiali.

Tutti concorrono a incrementare il risultato economico (EBITDA), nonché a generare flussi di cassa positivi. Occorrono, però, informazioni per decidere. In tal senso, nelle aziende, esiste quasi sempre un sufficiente set di dati di base, anche sporchi: righe fattura, distinte base valorizzate, movimenti di magazzino, dati sulle partite cliente.

Un quadro d’azione realistico può essere tracciato in pochi giorni (PLAN). La fase DO è molto più ostica. Le persone vanno convinte ad adottare comportamenti differenti. Niente di più complicato. A volte necessita imporre una visione. Occorre leadership.

Tale fase va accompagnata da informazioni auto-esplicative.
Grafici che parlano da sé e problemi esposti in maniera onesta impattano i comportamenti. Poche cose, ma ben definite. Esternalizzare un processo produttivo, puntare su una famiglia di prodotto, rivedere investimenti, chiedere puntualità di pagamento sono tipiche azioni, frutto di un appropriato uso del controllo di gestione.

 Qui ci si scontra con autentiche vacche sacre concettuali:

  • il full cost, vero e proprio killer silenzioso;
  • l’analisi differenziale negli investimenti, spesso mal interpretata;
  • la determinazione dei prezzi con metodi cost plus.

L’informazione semplice e corretta aiuta ad abbatterle. Va da sé che le fasi CHECK e ACT, pur essenziali, controllino e correggano gli esiti delle prime due.

Infine, le azioni di breve periodo devono essere accompagnate da un’occhiata all’arena competitiva. Il controllo di gestione assume così una seconda natura, estroversa, rivolta al mercato, alla competizione.

Analisi di bilancio, banche dati, tendenze storiche sono i suoi tipici strumenti, che aiutano a confrontarsi con le pratiche migliori. Mi sento di affermare che questa seconda natura del controllo di gestione sia il vero fine ultimo della prima.

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