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Essere amministratore è una responsabilità, una sfida, una questione di cultura

La voce della Community

Paola Schwizer, Presidente onorario di Nerdcommunity, associazione italiana degli amministratori non esecutivi e indipendenti e membro della #EIMCommunity

Entrare a far parte di un Consiglio di amministrazione viene ancora troppo spesso interpretato come un riconoscimento di prestigio più che come un incarico di responsabilità. Eppure, un board efficace rappresenta un elemento chiave per la crescita e la competitività aziendale, garantendo una governance solida e orientata al valore.

In cosa consiste quindi, concretamente, il ruolo di un amministratore indipendente? E in che modo un Consiglio ben strutturato può fare la differenza nelle dinamiche di gestione e controllo dell’impresa?

Paola Schwizer, Presidente onorario di Nedcommunity e membro della #EIMCommunity, condivide la sua esperienza e il suo punto di vista nel contributo dedicato al tema “Governance e Shareholder management: come rendere competitivo il board aziendale”, all’interno del libro Gestire il Business Fluido, scritto dai Partner EIM e pubblicato da Hoepli.

Ancora troppo spesso si ritiene che essere nominati come componenti del Consiglio di amministrazione di una società sia uno status symbol. Ciò accade soprattutto se il contesto è quello di una grande impresa, magari quotata, con esponenti di standing. Solo quando ci si rende conto che fare l’amministratore è quasi un lavoro a tempo pieno, che comporta formazione continua e un grande impegno, anche di tempo, per dare un apporto costruttivo, si comprende che la funzione del board non è quella di creare un network di relazioni, ma di contribuire davvero alla creazione di valore dell’azienda

Ricordo ancora la mia prima seduta di Consiglio di amministrazione, come componente neo-eletta, indipendente, unica donna e assolutamente estranea, sul piano delle relazioni personali, agli altri membri. Ho preso la parola per proporre una precisazione su una delibera. La relazione che ho avuto è stata di sguardi confusi, perplessi, stupiti dal fatto che non mi bastasse aver ottenuto il mandato: pretendevo anche il diritto di parola

Sono passati quasi dieci anni da allora e la cultura della governance è cambiata rapidamente e radicalmente. Ho incontrato in diverse società amministratori e amministratrici attenti e scrupolosi, con i quali “fare squadra” e scambiare opinioni e punti di vista dentro e fuori dal consiglio. Soprattutto nelle società quotate, noi consiglieri indipendenti siamo consapevoli di essere, anche personalmente, oggetto di un attento scrutinio da parte di investitori, mercato e autorità di vigilanza. Nelle relazioni annuali sul governo societario si racconta come abbiamo lavorato, se siamo stati presenti alle riunioni, come abbiamo gestito i principali processi di governance e quali risultati abbiamo ottenuto. Siamo investiti di crescenti responsabilità e di un ruolo definito di “challenge” nei confronti degli esecutivi. Interpretarlo non è facile. Mi è capitato in alcuni casi di dover prendere posizioni scomode, a volte supportata da altri amministratori indipendenti, a volte no. E non ho mai avuto paura di non essere rinnovata nell’incarico. Se non fosse stato così, sarebbero venute meno, credo, la mia obiettività e la mia indipendenza di giudizio. 

Certo, regole e principi di autodisciplina nelle quotate aiutano ad affermare la buona governance anche nei contesti più rigidi e tradizionalisti. Non vi è dubbio, tuttavia, che anche le PMI non quotate potrebbero risultare più attrattive se adottassero processi di direzione e controllo più robusti e trasparenti. Esse devono tuttavia avere il coraggio di aprirsi a risorse e professionalità esterne rispetto alla ristretta cerchia dell’imprenditore e dei suoi familiari. Ho dovuto rifiutare alcuni incarichi in società di questo tipo, perché la richiesta era di avere un componente del board che seguisse una determinata area di attività per conto dell’imprenditore. L’indipendente non è tuttavia un altro “manager” al servizio del capo azienda. È qualcuno, invece, in grado di aiutare chi controlla o chi guida la società a prendere decisioni migliori e a guardare al lungo periodo con una prospettiva più ampia, un atteggiamento prudente, e l’obiettivo di fare esclusivamente il bene dell’impresa.

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