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New normal: cosa significa confrontarsi con una nuova normalità?

Fare come si è sempre fatto? No, grazie.

Tutti, o quasi, citano la necessità di approdare ad un “New Normal”. Fanno riferimento per lo più alle trasformazioni della società dopo la sospirata uscita dall’incubo Covid, ma di fatto è già da molti anni che le aziende operano in un contesto mutevole e imprevedibile, che non costituisce più un’eccezione, ma è appunto la nuova normalità. La pandemia ha solo accelerato un processo che viene da lontano: già a partire dagli shock petroliferi degli anni ’70, infatti, era chiaro che la filosofia del “fare come si è sempre fatto” non potesse più essere garanzia di successo. Operare in continuità solo sulla base di una tradizione di successo è un lusso che la competizione globale non concede. Chi non si adatta al cambiamento costante, gestendo al meglio le opportunità e i fattori critici, perde terreno.

Realizzare il cambiamento: alla ricerca di un nuovo modello di management

Per progettare e gestire il cambiamento le aziende sono solite rivolgersi a società di “management consulting”, in grado di formalizzare il punto di partenza e concettualizzare il punto di arrivo, ma che fatalmente sono troppo deboli nel “far succedere il cambiamento” concretamente, in questo scenario in continua mutazione.

Il cambiamento, per essere tale, deve passare indissolubilmente per le mani del top management ma esso è spesso già saturato dalla gestione ordinaria dell’azienda e comunque impreparato a gestire una situazione a tendere.

L’executive interim management è nato proprio per dare una risposta a questo problema: integrare la struttura di vertice dell’azienda con risorse esperte, che sappiano condurre il processo di transizione dall’assetto attuale a quello futuro e che siano già abituate a gestire aziende configurate in maniera diversa.

Superare la logica del ciclo di vita aziendale

In passato il management delle aziende riteneva di dover perseguire il cambiamento solo in occasione dei cambi di fase nel proprio ciclo di sviluppo. Così era stato loro insegnato, d’altra parte. La logica del ciclo di vita aziendale ha portato il management a immaginare che il cambiamento fosse una grande fatica, un’incombenza da sopportare ogni 10 o 20 anni. I modelli di business di successo, però, durano sempre meno. Basta guardare l’esempio delle aziende produttrici di telefoni cellulari: chi oggi si trova a gestire aziende, probabilmente in gioventù ha avuto in casa un apparecchio che ha attraversato le stagioni dalla sua prima infanzia fino all’adolescenza. Poi, nel giro di pochi anni, ha visto arrivare e scomparire uno dopo l’altro tanti device e dietro a questi intere aziende e canali distributivi. Qualche esempio? Psion, Palm Pilot, Blackberry…

È un aneddoto banale, ma fa capire bene la portata epocale del cambiamento che è stato vissuto negli ultimi decenni da chi ha 25-30 anni di esperienza e si trova oggi a guidare un’azienda. Vale la pena di ricordare che alla fine degli anni ’90, quattro delle prime cinque aziende più grandi al mondo erano giapponesi. Nel 2019 tre delle prime cinque erano cinesi, mentre alla fine degli anni ’90 non ce n’era nemmeno una nelle prime venti.

Classifica mondiale delle principali società (1995)
Valore di fatturato (in miliardi di USD)

Fonte: elaborazione propria su dati Fortune Global 500 List

Classifica mondiale delle principali società (2019)
Valore di fatturato (in miliardi di USD)

Fonte: elaborazione propria su dati Fortune Global 500 List

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