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Soluzioni ICT e progetti di trasformazione nell’era digitale

WORKSHOP | 15 NOVEMBRE 2022, MILANO

Come individuare e realizzare progetti ICT e soluzioni tecnologiche complesse

Da anni si parla, e non sempre con piena cognizione di causa, di “digital transformation”, una transizione tecnologica che coinvolge tutti e che vede in prima fila le aziende, impegnate in un percorso di modernizzazione della propria infrastruttura tecnologica, dei sistemi ERP e di soluzioni applicative interconnesse e collaborative.

L’accelerazione impressa dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria esplosa nel 2020 ha imposto precise dead line e punti di arrivo a breve e a lungo termine, ma ogni impresa interpreta il processo di trasformazione digitale in funzione delle proprie priorità strategiche, delle conoscenze tecniche, delle capabilities manageriali e organizzative e delle risorse finanziarie a supporto.

Per comprendere come le aziende italiane stiano affrontando i percorsi di trasformazione tecnologico/digitale, quali decisioni e modelli operativi abbiano assunto per governare il cambiamento, su quali risorse e competenze abbiano investito per avere successo, EIM Italia ha organizzato un workshop che ha messo a confronto manager e dirigenti che, nei diversi settori di appartenenza, hanno potuto scambiare opinioni ed esperienze su questo tema.

In certi casi si è dato un maggiore peso al coinvolgimento delle risorse umane nel cambiamento, in altri si sono privilegiati i processi alle persone e sono state assunte decisioni dall’alto, alcune realtà hanno optato, almeno inizialmente, per tecnologie e sistemi meno aggiornati ma consolidai e altre hanno sviluppato modelli più complessi e innovativi. Ne è uscito, quindi, un dibattito molto vivace.

Tre dimensioni su cui confrontarsi

Per noi – ha spiegato nell’introduzione Vincenzo Natile, partner EIM – è basilare il principio che la tecnologia debba essere al servizio del business e della competitività, e non il contrario, e che ogni iniziativa di ammodernamento ICT debba partire da valutazioni di opportunità strategiche e impatto sul business.

Sulla base della nostra esperienza pensiamo che se non si dispone di una base tecnica, di risorse informatiche e di project management di eccellenza, combinata a forti competenze organizzative e di business process reengineering, qualunque obiettivo di aggiornare i sistemi informatici, reinventare il proprio modello di business o migliorare costantemente l’esperienza dei clienti e degli utenti interni rischia di essere ottenuto con grandi difficoltà.

Certamente un approccio olistico non funziona, mentre singole iniziative pianificate bene e mirate su specifici ambiti possono avere ricadute positive anche più ampie del previsto. La capacità di scaricare a terra questi progetti di trasformazione nei tempi e nei costi pianificati è ormai un fattore di successo nelle aziende agili e competitive”.

Sono tre le dimensioni sulle quali i partecipanti sono stati chiamati a confrontarsi: quella legata alla scelta della leadership e della governance del percorso di digitalizzazione, quella della “project execution”, cioè della gestione operativa del processo, e quella del “change management”, la ricetta migliore per coinvolgere e generare consenso tra le persone che lavorano nell’azienda, vincendo le resistenze al cambiamento.

“Un punto debole della realtà di cui sono entrato a far parte a fine 2019 – ha raccontato Stefano Cassis, Executive Managing Director di Officine Metallurgiche Cornaglia Spa – era la mancanza di un sistema di reporting gestionale, come spesso avviene nelle aziende familiari.

C’era un sistema basato sul vecchio AS/400, di cui era stata acquistata la proprietà del software per poterlo modificare a piacimento e sul quale sapeva metterci le mani solo una persona in pensione da sei anni. Abbiamo cambiato il sistema, adottando quello che si è imposto come standard nel settore dell’automotive, e come input ho deciso di non consentire modifiche.

In genere lo standard contiene già delle logiche e delle funzionalità specifiche ottimizzate: spetta a noi adottarle e saper sfruttare tutto il potenziale delle nuove soluzioni informatiche. D’altra parte, la scelta del migliore sistema è strettamente legata anche al livello di maturità dell’organizzazione e sarebbe inutile dare un mezzo raffinatissimo e complicato a un’organizzazione molto poco evoluta dal punto di vista digitale”.

Il caso di Berlin Packaging è particolare: negli ultimi anni ha acquisito molte aziende imprenditoriali, tenendo all’interno i fondatori.

È un conglomerato di situazioni per niente strutturate”, ammette Conrado Carretero, EMEA Chief HR and Transformation Officer. “Ci siamo trovati a che fare con 27 sistemi ERP diversi. Abbiamo deciso di portare tutti in AS/400 che era il sistema predominante. Nonostante la scelta anacronistica e quasi involutiva abbiamo dato priorità alla velocità di all’allineamento dei processi e degli standard tra le diverse società, adottando un sistema comune di operare, anche se è un sistema vecchio.

È un primo step perché poi nel 2024-2025 migreremo verso un sistema più moderno e evoluto. Eravamo in uno stato selvaggio, in assenza di processi, ed era l’unico modo. Gli imprenditori possono essere una barriera al cambiamento, ma hanno la capacità di vedere il valore della transizione”.

Dietro gli insuccessi c’è la mancanza di una figura esterna

Per accelerare il percorso di ammodernamento dei processi a volte può essere però necessario dotarsi di figure ad hoc. Lo ha spiegato bene Marco Manfredini, Group Managing Director Operations di Codognotto Italia Spa:

La prima cosa che ho costituito è stato un cuscinetto in mezzo, un team di persone che lavorino alla revisione e codifica dei processi e che traducano il linguaggio del business in requisiti ICT. Io ritengo anche utile avvalersi di project manager provenienti dall’esterno, che aiutino a battere i tempi e a non perdere colpi. Una risorsa con una sufficiente seniority, per metà tecnologo per metà business e stratega, da poter gestire questi progetti nella maniera migliore.

Ovviamente il primo tassello per chi vuole aiutare un’azienda imprenditoriale a evolversi è trovare la disponibilità dell’imprenditore. Convincere un imprenditore non si fa con argomentazioni logiche, anche perché lui spesso non ha un know how tecnico, ma con la fiducia e la dimostrazione passo dopo passo di risultati e miglioramenti concreti”.

La mancanza di una figura di governo forte della trasformazione è alla base di un insuccesso occorso circa dieci anni fa a Unicredit.

Il nostro Vietnam – ha spiegato Angelo Carletta, Former Head of People & Culture Group Functions Business Partners – è stata l’assenza di standardizzazione e semplificazione delle piattaforme e dei modelli funzionali. Il peccato originale è stato pensare che la nuova soluzione tecnologica potesse abilitare i processi, che semplicemente esternalizzando avremmo risolto un costo e un problema, ma non è stato così, anche per la difficoltà di giungere ad una mediazione interna.

Una figura terza esperta di questi processi ed esperta di governance e pianificazione delle diverse fasi avrebbe potuto favorire un migliore esito dell’operazione. Si tratta di un mestiere, servono competenze specifiche e una disciplina quasi militaresca. Sarebbe stato essenziale un temporary manager, una terza parte che avrebbe potuto conciliare le posizioni”.

Anche Luca Rizzo, Group CFO di Reno De Medici Spa, è testimone di un’esperienza insoddisfacente:

Nell’ultimo anno e mezzo siamo partiti con il nuovo sistema ERP, ma il progetto iniziale di implementazione si è rivelato un fallimento. Mancavano una leadership e una vera visione strategica, e anche le scelte tecniche/architetturali erano state orientate da un criterio di economicità piuttosto che di funzionalità ed efficacia per i nostri processi operativi. Abbiamo dovuto riconsiderare tutto il progetto, scegliendo soluzioni di mercato specialistiche per il nostro business e rafforzando moltissimo il team di Project Management e i key user interni”.

Oltre alla impostazione strategica iniziale e alla governance – ha proseguito Vincenzo Natile – c’è poi un’area importantissima che riguarda l’esecuzione dei progetti, ovvero la gestione quotidiana delle problematiche e delle attività, il tipo di approccio decisionale utilizzato ‘agile’ verso ‘waterfall tradizionale’, la composizione dei team, le risorse e l’utilizzo di consulenti interni ed esterni. Saper dimensionare correttamente lo sforzo e avere le competenze giuste è fondamentale per mantenere gli obiettivi e i costi del progetto”.

Approccio agile e change management

Stefano Cassis ha spiegato cosa ha significato applicare l’approccio agile nel loro caso:

Agile ha significato per noi, il fatto di non avere tutto chiaro e tutto deciso a livello teorico e poi implementarlo, ma di smarcare il grosso, 70-80 per cento delle problematiche, preparare il sistema in area di test e poi farlo partire con i key user e gli end user finali, e poi vedere cosa funziona, cosa non funziona, cosa è stato trasferito, cosa non è stato trasferito, e quindi aggiustarlo di volta in volta. Quindi non un approccio di preparazione completa prima e implementazione dopo, ma fare delle prove, chiamate Speed Test, e poi andare a vedere cosa funzionava e cosa non funzionava. Questo ha consentito di debuggare il sistema in maniera continuativa e molto efficace”.

Applicando la metodologia agile e il concetto del minimun viable product si ottengono risultati impressionanti – ha confermato Angelo Carlettaio stesso ho conseguito la certificazione in Scrum Master perché secondo me l’evoluzione del mercato, dei consumatori e degli scenari interni ed esterni alle aziende richiedono modelli adattivi e il waterfall fa fatica a rispondere a questa velocità di cambiamento. Occorre produrre qualcosa subito, sapendo che poi ti aspetta la seconda puntata, ma magari il mercato incomincia a virare, arriva un nuovo competitor, una nuova soluzione tecnologica, devi avere questa velocità di muoverti che il Waterfall tende a non darti, perché poi vai avanti su una strada e ti ritrovi con un prodotto che è già obsoleto”.

Per Marco Manfredini la scelta di affidarsi a specialisti e PM esterni competenti è stata fondamentale perché

non avevamo la seniority giusta e la conoscenza del metodo, e poi soprattutto volevamo una persona esterna, esperta del nostro business, che potesse essere completamente neutrale anche in quello che erano poi le diatribe e che facesse il suo mestiere da PM come va fatto nei progetti così complessi, e devo dire che anche questo ha funzionato molto”.

Stiamo dicendo quindi che il mondo sta andando in questa direzione – ha aggiunto Vincenzo Natilee quindi l’agile è una metodologia che consente di essere rapidi, ma può anche essere lo strumento con cui gestire il consenso o il dissenso e si riesce a mettere d’accordo tutti. Invece di discutere sulla teoria, si sperimenta, si valutano soluzioni funzionanti e quindi si prendono decisioni su fatti e benefici oggettivi”.

Sul “change management” non c’è stata la stessa uniformità di vedute. Secondo Stefano Cassis,

convincere tutti è impossibile. Imporre la trasformazione significa tagliare la testa al toro. O arriva una soluzione imposta o la discussione andrà avanti all’infinito”.

Per Angelo Carletta, al contrario,

imporre una soluzione dall’alto rischiando di perdere persone chiave può essere molto pericoloso. Per convincere e condividere possono essere utili le figure degli ambassador, dei key player, degli evangelist”.

È perfettamente comprensibile – ha concluso Vincenzo Natile – che ci possano essere momenti in cui si verifica quasi una sospensione di democrazia in azienda per assumere decisioni rapide. A volte è necessario per superare gli stalli o i nodi decisionali. Ma in ogni caso è fondamentale gestire e curare con altrettanta attenzione il consenso e le persone, con attività di training e formazione continuativi, attraverso academy post implementation, per educare le persone ai nuovi strumenti e sfruttare tutto il potenziale che la tecnologia può offrire. Il consenso e le persone sono fondamentali. Bisogna formare le persone a sfruttare il pieno potenziale della macchina.

Lavorarci sulle persone prima, durante e dopo il percorso di cambiamento è la sfida più importante”.

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