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Go to market e internazionalizzazione: scegliere il partner giusto, nel momento giusto

Entrare in un nuovo mercato:

questione di metodo, non solo di opportunità 

Internazionalizzarsi oggi non significa semplicemente “trovare un modo per vendere all’estero”. Significa fare scelte lucide, coerenti e orientate al lungo termine su come accedere a nuovi mercati e con quali strumenti. 

L’approccio più comune — e spesso più rassicurante — consiste nel collaborare con un partner locale, che può essere un importatore o un distributore. È un modello che consente di limitare i rischi, evitare investimenti strutturali importanti e iniziare ad acquisire informazioni preziose sul mercato: consumatori, dinamiche competitive, barriere all’ingresso. 

Tuttavia, anche una scelta apparentemente semplice come quella di affidarsi a un distributore non può essere lasciata al caso. Il rischio è che diventi una “occasione” dettata da sollecitazioni esterne — ad esempio un distributore che si propone — piuttosto che una decisione ragionata e in linea con la strategia complessiva dell’azienda. 

Ogni canale distributivo in più implica complessità aggiuntive: gestione di vendite, supporto tecnico, logistica, questioni finanziarie e legali. In altre parole, ogni nuova partnership sottrae risorse (tempo, energie, focus) che potrebbero essere dedicate all’espansione nei mercati veramente prioritari. 

Non tutti i mercati sono uguali: serve una valutazione caso per caso

L’approccio con un distributore è ideale in una fase esplorativa o nei mercati dove il brand è ancora sconosciuto. Ma non tutti i paesi richiedono lo stesso approccio. 

Ci sono due scenari principali in cui non è conveniente aprire un mercato attraverso un partner locale: 

  1. Mercati “vicini”, culturalmente o geograficamente, che possono essere compresi e presidiati facilmente da remoto o con personale già formato. 
  2. Mercati dove il brand ha già una forte riconoscibilità e il valore percepito dell’azienda è tale da permettere un accesso diretto, senza mediazioni.

In questi casi, il distributore può diventare presto un limite: una figura intermedia che, man mano che la penetrazione aumenta, inizia a perseguire interessi diversi da quelli del produttore. È una dinamica fisiologica: il distributore vuole massimizzare i margini e il proprio potere negoziale. L’azienda, invece, vuole mantenere il controllo sulla customer experience, sulla rete di vendita e sul posizionamento del marchio. 

Contesto geopolitico, dazi e supply chain:

variabili non più trascurabili 

Negli ultimi anni, il contesto economico internazionale ha reso ancora più delicata la scelta del percorso di accesso a un nuovo paese. 

  • Le tensioni geopolitiche tra blocchi economici 
  • L’introduzione di dazi su materie prime e prodotti finiti 
  • L’instabilità nelle rotte logistiche globali 
  • I vincoli normativi sempre più stringenti

Tutti questi elementi hanno spinto molte aziende a rivedere le proprie strategie di go to market, privilegiando modelli che garantiscono maggiore controllo, continuità e protezione degli asset aziendali. 

In alcuni mercati affidarsi a un distributore può essere utile per navigare tra normative complesse o burocrazie locali. In altri, è proprio l’instabilità a rendere più sicuro e profittevole un investimento diretto iniziale, che consenta di controllare la catena del valore senza filtri o rallentamenti. 

Il rischio del distributore “troppo forte” 

C’è un tema particolarmente delicato e spesso sottovalutato: la perdita progressiva di controllo su un mercato in cui il distributore diventa, nel tempo, troppo autonomo. 

Il paradosso è questo: se il prodotto ha successo e il marchio cresce, il distributore cresce con lui. Ma più cresce, più diventa difficile da gestire. In alcuni casi, arriva a sfruttare la forza del marchio per costruire una posizione dominante, fino a diventare un punto di riferimento anche per marchi concorrenti. 

A quel punto, “recuperare” il mercato può significare dover trattare la cessione della distribuzione, pagare per riacquistare l’asset oppure perdere definitivamente il presidio. 

Ecco perché, nei mercati ad alta potenzialità, può essere più vantaggioso investire direttamente sin dall’inizio, evitando i costi e i conflitti di un’uscita negoziata successiva. 

Come strutturare un rapporto realmente proficuo

con il distributore 

Quando si sceglie un modello distributivo, è fondamentale strutturare il rapporto su basi solide e proattive. 
Il partner va guidato, non solo gestito. In concreto, significa: 

  • Condividere piani commerciali e marketing annuali 
  • Stabilire le regole di utilizzo del brand e dei materiali 
  • Richiedere report periodici sui dati di mercato e i comportamenti di consumo 
  • Incentivare il distributore sul sell-out e non solo sul sell-in 
  • Allineare ogni attività promozionale alla strategia complessiva dell’azienda

In sintesi: il distributore è un tramite, non un sostituto del produttore. La governance deve restare sempre saldamente nelle mani dell’azienda. 

Flying doctor: essere presenti anche a 10.000 km di distanza 

Un elemento chiave — spesso trascurato — nella relazione con il mercato è la gestione dell’assistenza tecnica. Se il cliente ha un problema, la distanza geografica non può essere un alibi. Il brand e l’organizzazione devono essere sempre percepiti come presenti, anche a 10.000 chilometri di distanza. 

Da qui nasce il concetto del “flying doctor”: se il distributore non è in grado di gestire un problema tecnico come primo livello di assistenza, una persona dell’azienda vola sul posto e risolve il problema in meno di 24 ore. È un modello operativo che trasmette al cliente finale un messaggio fortissimo: il produttore è sempre responsabile, sempre attento, sempre sul pezzo. Ed è anche un modo per controllare la qualità del servizio, supportare il distributore e mantenere viva la connessione con il mercato. 

Scegliere il percorso, non subirlo 

L’ingresso in un nuovo mercato presuppone la consapevolezza che ogni decisione presa nella fase iniziale del piano di internazionalizzazione condiziona la traiettoria futura di crescita, la reputazione del brand e il margine economico che si genererà.

In particolare occorre scegliere il  modello più appropriato di go to market tra presenza diretta o attraverso un distributore.  Ciò richiede una valutazione strategica, non solo commerciale, e una visione chiara dei rischi, delle opportunità e delle dinamiche locali e globali. 

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