Abbiamo fatto comizi di sourcing dove l’argomento era: come uscire dalla Cina, what’s next after China. E la risposta era sempre: “There is no China after China”, cioè c’è solo la Cina. In realtà io qua mi sento di dissentire, nel senso che noi in Benetton continuavamo a lavorare tantissimo con i cinesi, che però avevano aperto delle fabbriche in altri Paesi e si chiama dual sourcing e dal fatto che lo stesso fornitore– Allora non ci scordiamo che per esempio, per quanto riguarda l’abbigliamento, c’è un 12 percento di dazio in entrata dei capi che arrivano dalla Cina e il nove percento dall’India. Avere su un piumino che magari costa Fob 30 dollari, un 12 percento di dazio, è veramente tanto. Quindi i cinesi, commemori, hanno aperto le fabbriche in Myanmar. Ci è andata un po’ male con il Myanmar. Come avete visto adesso non si può più. Però hanno aperto anche fabbriche in Cambogia, che sono tutte a dazio zero. Quindi l’importanza di seguire tantissimo i dazi è una cosa che forse non è stata detta, almeno io non l’ho sentita, per noi anche il rischio valuta. Noi a inizio di ogni anno, quando dovevamo fare la strategia di sourcing, veniva inserito il rischio Paese e anche il rischio valuta, perché comunque la rupia, per esempio, spesso si è rivalutata. La lira turca per un periodo ha tenuto la Turchia completamente fuori dal mercato dell’abbigliamento.