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Siamo sicuri che la non crescita sia un problema commerciale?

La voce della Community

Eugenio Cecchin, Managing Director Italy, Adriatics & Bulgaria di BMI Group e membro della #EIMCommunity

Una delle sfide più comuni per cui si richiede l’intervento di un interim manager, è una crisi di non crescita che spesso avviene in seguito ad un periodo di forte espansione. Quando l’azienda non riesce a superare questo ostacolo con le proprie risorse, i motivi sono da ricercarsi in profondità.

Qual è dunque l’errore di valutazione più comune? Eugenio Cecchin, Managing Director Italy, Adriatics & Bulgaria di BMI Group e membro della #EIMCommunity, nel suo contributo al libro scritto dai Partner EIM e edito da Hoepli, Gestire il Business Fluido, racconta:

Spesso mi è capitato di lavorare in aziende nelle quali, dopo un periodo di espansione guidato essenzialmente da dinamiche esogene, ci si è trovati di fronte alla sfida della crescita. L’innesco poteva essere rappresentato da una crisi di settore (il periodo post 2008 nel mercato delle costruzioni), un cambio di offerta della concorrenza (acquisizioni e fusioni, nuovi player più innovativi), un portafoglio prodotti non più attuale, e così via. La crisi, però, una volta conclamata e subita dal management, trovava come unica risposta il cambio della leadership commerciale, partendo dal presupposto che il problema fosse nella capacità delle persone, nella loro motivazione, nel loro allineamento rispetto alla strategia aziendale. Può essere. Siamo sicuri che la non crescita sia un problema commerciale?

Io ritengo invece che le ragioni della non crescita fossero piuttosto da ricercarsi in profondità nei processi aziendali, perché a mio avviso lo sviluppo della top line è un’attività corale che coinvolge l’intera organizzazione, allineando le varie priorità verso un obiettivo condiviso nel business plan. In questo contesto preferisco parlare di processo di crescita di un’azienda, ovvero di una serie di step chiaramente identificabili e misurabili che forniscono al management la possibilità di scegliere (e quindi di creare strategie di crescita) sulla base di evidenze oggettive. Non vi è infatti crescita se non si conosce il mercato di riferimento, le attività dei propri concorrenti, i bisogni espressi e inespressi della propria clientela, la propria value proposition, la dinamica dei prezzi. Quindi il punto di partenza è strategico e il contributo chiave è dato in modo prominente dalla funzione marketing, a partire dalla definizione di una raison d’être condivisa che possa essere presa a modello da tutti i collaboratori dell’azienda. Il secondo step è l’allocazione delle risorse sul campo, allineando gli investimenti aziendali al potenziale precedentemente definito. Il terzo è relativo al processo di budgeting e misura del successo, dove è necessario definire l’obiettivo e i parametri fondamentali per valutare la performance aziendale definendo così cos’è good, better o great. Come si può facilmente intuire, la crescita quindi diventa il risultato dell’orientamento delle varie funzioni aziendali, in un processo strutturato, ripetibile e prevedibile che consente il monitoraggio continuo della performance rispetto all’obiettivo definito nel business plan. Sottolineo che questo processo di crescita, sebbene possa essere facilitato da sistemi CRM più o meno evoluti, in realtà è perfettamente implementabile utilizzando solamente i pacchetti gestionali più comuni come Office o Google suite. È una questione di metodo, non di sistemi. Nella mia esperienza, la parte più sfidante del processo di crescita è la definizione del campo di gioco, ovvero il primo step. Molto spesso le informazioni sono disponibili in azienda ma non fruibili perché non condivise, gelosamente custodite o non strutturate. La definizione del potenziale, per esempio, parte di solito da dati disponibili al pubblico e ricavati dal database ISTAT, che può essere integrato da informazioni provenienti dalle associazioni di settore, e dal patrimonio di conoscenze della rete commerciale (diretta o indiretta). Il passaggio chiave però è quello di porsi le domande “giuste”, quelle che aiutano a definire in modo univoco, obiettivo e a volte spietato la dimensione del proprio mercato (sia in termini di valore sia in quelli di clienti e prospect) e di conseguenza la vera rilevanza della propria azienda.

All’inizio si osserva incredulità e resistenza al cambiamento, spesso ci si sente dare risposte “di pancia”, intuizioni o approssimazioni, insomma scuse per non aver analizzato la situazione in profondità. A questo punto diventa cruciale il ruolo del manager che ha innescato il cambiamento perché organizzando i dati in informazioni fruibili in realtà aiuta l’organizzazione a orientarsi verso una nuova filosofia di gestione del business trasformando l’analisi in un metodo, replicabile, che diventa patrimonio aziendale.

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