Fondi di private equity: scegliere il manager giusto
Il manager può fare la differenza
Nelle operazioni che vedono un fondo di private equity subentrare all’azienda, la scelta che davvero può fare la differenza è quella del manager che verrà incaricato di guidare l’organizzazione, fissando nuovi obiettivi, definendo nuovi modelli e identificando nuovi interlocutori.
In questi casi il manager non può limitarsi a gestire l’azienda: deve focalizzarsi con determinazione sulla creazione di valore, tenendo conto della tabella di marcia del fondo la cui missione è quella di moltiplicare il denaro investito in un arco di tempo definito.
Nelle operazioni gestite dai fondi, il controllo della cassa è centrale e il manager deve far ruotare tutto il lavoro in funzione di questo aspetto. Deve avere cioè la capacità di prendere delle decisioni che nel breve termine abbiano un impatto misurabile sulla cassa, tenendo al tempo stesso sotto controllo gli indicatori reddituali e patrimoniali.
L’errore più comune: affidarsi a chi ha operato solo in grandi aziende
I fondi di private equity che investono in Italia hanno bisogno di persone in grado di guidare un’azienda di dimensioni medio-piccole, dimostrando una completa capacità gestionale.
Uno degli errori più ricorrenti attribuito ai fondi di private equity è quello di reclutare manager provenienti da grandi aziende – facendosi attirare dai prestigiosi curriculum ricchi di esperienze acquisite ai più alti livelli – per poi inserirli invece in realtà medio-piccole.
A volte i fondi ricorrono a importanti società di executive search che lavorano con le più grandi realtà internazionali, ma che difficilmente selezioneranno per loro un numero uno. Un CEO di un colosso globale non lascia un ruolo così autorevole e pubblicamente riconosciuto per passare ad essere amministratore delegato di un’azienda con un fatturato di 40 o 50 milioni.
Più facilmente, proporranno delle figure che probabilmente vantano un percorso di carriera funzionale, avendo gestito una business unit o essendo stati country manager in un paese estero. Manager di questo tipo crescono all’interno di processi iperstrutturati, con un ambito decisionale molto ristretto e limitato a competenze molto specifiche.
Nell’azienda acquistata da un fondo di private equity, invece, occorrono manager con una capacità di visione a trecentosessanta gradi e capaci di gestire aspetti pratici come la gestione di cassa, attività che i manager provenienti dalle grandi società internazionali in genere non sanno amministrare per il semplice fatto di non averlo mai dovuto fare nella loro carriera.
Mai prediligere l’estetica del curriculum
Lasciarsi sedurre dall’”estetica del curriculum impeccabile” del manager, è uno degli errori più comuni in questi frangenti: avere sviluppato la propria carriera esclusivamente in grandi aziende multinazionali, magari leader nel proprio settore, viene percepito come garanzia di successo.
Scegliere una figura di questo tipo consente di tenere testa più facilmente alle pressanti richieste degli investitori, ma può rivelarsi un boomerang. Chi ha svolto il proprio percorso nelle grandi aziende, riuscendo a costruirsi un curriculum perfetto, spesso ha dedicato una gran parte del proprio tempo alla gestione politica della carriera, magari inserendosi all’interno di cordate. Solitamente è un soggetto con una forte propensione ad adeguarsi all’orientamento del capo e può essersi trovato in situazioni competitive rispetto ad altre cordate alternative.
Si tratta di una strategia estremamente autoreferenziale, che può si consentire a questo tipo di professionista di emergere nelle grandi aziende, ma che può rivelarsi addirittura controproducente quando il manager diventa il numero uno in un’azienda partecipata da un fondo.
L’utilità di inserire un manager a tempo
Il profilo del manager ideale varia a seconda delle priorità chiave dell’azienda e sarà ovviamente diverso a seconda degli obiettivi prevalenti come, per esempio, l’aumento dell’efficienza aziendale, l’avvio di un processo di internazionalizzazione, la creazione di nuovi processi trasversali, l’introduzione di nuove tecnologie o la sperimentazione di nuovi prodotti.
Non solo: per gestire la dimensione progettuale la persona ideale dev’essere diversa dalla persona che gestirà la successiva fase di consolidamento, o steady state. Molti fondi, tuttavia, con l’intento di concentrare in un unico professionista il proprio punto di riferimento, tendono a scegliere manager sotto-qualificati per la dimensione progettuale e sovra-qualificati per la gestione aziendale successiva.
Una valida alternativa, spesso vincente in simili contesti, è quella dell’inserimento di un CEO altamente qualificato in grado di superare le sfide prioritarie nel breve periodo e di apportare un miglioramento strutturale entro un tempo limitato, ad esempio dodici mesi, per poi trasferire le consegne a un manager, più buon gestore che trasformatore.
Il profilo migliore? Quello di chi ha già accettato sfide complesse
Cambiare e modernizzare i processi non è semplice, il rischio di commettere errori c’è e deve essere tenuto sempre ben presente. Replicare senza adattare modelli e sistemi strutturati che altrove funzionano è un rischio evidente per le aziende rilevate da fondi di private equity.
Spesso questi processi di revisione confliggono con le tempistiche e il dinamismo necessari per spuntare le condizioni migliori con i clienti e incrementare in breve tempo i margini.
Le figure professionali che possono “funzionare” per il mondo del private equity, tra quelle che hanno fatto esperienza nelle grandi aziende, sono quelle che hanno accettato missioni nelle sedi dove nessun altro voleva andare.
Si parla di persone dotate di una certa dose di coraggio, esposte nella loro carriera a una sequela di problemi da risolvere, con un forte orientamento all’obiettivo, professionisti che hanno lavorato anche per aziende di medie dimensioni e che, ovunque abbiano operato, hanno trovato la loro motivazione nelle sfide che via via si presentavano.
In oltre trent’anni di attività, EIM ha costruito una community di manager che possiedono le caratteristiche sopra descritte, individuando le figure più indicate a raggiungere con successo gli obiettivi in relazione al contesto di riferimento, alle contingenze e alle complessità specifiche che le aziende si trovano a fronteggiare in determinati momenti. E, soprattutto, preferendo e valorizzando le persone interessate ad affrontare e vincere le sfide, anche quelle più complesse, che vengono loro proposte.
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