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Cambio generazionale in azienda: problema o opportunità?

Nel nostro libro Gestire il business fluido abbiamo dedicato l’intero Capitolo 9 a un tema molto importante e di grande attualità: come gestire in modo efficace in un’azienda il passaggio da una generazione di imprenditori – a maggior ragione se fondatori – a quella successiva. Più in generale, a una fase in cui non è prevista la presenza dell’imprenditore di prima generazione nella gestione. Nel libro descriviamo le “regole d’oro” da rispettare in momenti come questo. In questo estratto, illustriamo l’approccio più efficace per gestire con successo il cambio generazionale e le sue conseguenze.

È un tema di grande attualità soprattutto per molte aziende imprenditoriali italiane, dove i protagonisti della crescita impetuosa degli anni ’70 e ’80 si trovano oggi ad affrontare il momento critico del passaggio del testimone. Molto spesso questo passaggio coincide – o dovrebbe coincidere – con una spinta ulteriore verso la managerializzazione dell’azienda ed è proprio in questa combinazione di eventi – l’uscita di scena del fondatore da una parte e l’inserimento di manager che gli succedano dall’altra – che molte aziende si trovano in difficoltà e prendono decisioni sbagliate. Nella nostra esperienza, il punto di partenza deve essere prendere coscienza, accettare il fatto che ci si trova in un momento di transizione e dotarsi delle capacità manageriali più adatte a gestire tale transizione.

Punti di partenza per il passaggio generazionale

Che si tratti di un imprenditore di prima generazione o di un manager di lunghissimo corso, i quali non si siano occupati della loro successione per tempo, prima della loro uscita, il discorso non cambia. Si tratta di persone la cui esperienza è irripetibile, così come è irripetibile il ruolo che occupano in azienda. Conoscono tutto e tutti, sono rispettate e non vengono mai messe in discussione. Possono quindi operare con competenza e velocità irraggiungibile per chiunque altro. Non può esistere il manager in grado di fare quello che faceva l’imprenditore come lo faceva lui, o come faceva il predecessore di lungo corso.

Neppure chi è abituato a convivere con il “Titano”, che sia questo imprenditore o manager, sarà quasi mai un candidato credibile alla successione. Perché? Perché probabilmente se è durato ha speso tutta la vita ad assecondare le azioni del capo, oppure ha competenze e carattere complementari, sarà mite se il capo è aggressivo, sarà paziente se l’altro è impaziente ecc. Neanche questa, quindi, è una soluzione che vediamo avere successo. Si può concludere che è sicuramente possibile trovare delle persone (non sempre saranno dei veri manager) capaci di convivere con il Titano, e di farsi apprezzare per la loro attitudine a eseguire i suoi voleri, capaci di portare valore aggiunto nelle aree che non sono di suo interesse o vocazione (nel commerciale se l’altro è un tecnico o, viceversa, nella finanza se l’altro è una persona di prodotto o mercato), ma si tratta di soluzioni sempre complementari, che funzionano fino a che non si cambia il paradigma. Cioè fino a che il Titano è presente e operativo in azienda, e quindi non sono soluzioni di managerializzazione vera e propria o di successione gestionale.

La soluzione che funziona meglio? Spacchettare il processo

Il primo e fondamentale passo è la formalizzazione della strategia, del business plan, chiaro e leggibile da tutti, preparato da colui che dovrà eseguirlo e sulla base del quale si potrà immaginare la nuova organizzazione e le competenze necessarie per raggiungere gli obiettivi di piano.

È poi essenziale definire una scadenza entro la quale il Titano uscirà definitivamente di scena, nel senso che non si presenterà più in ufficio, se non nei periodici CDA o in altri momenti istituzionali, e, cosa altrettanto importante, ridefinirà la propria agenda di interessi oltre l’azienda, cioè concretamente troverà altre cose da fare.

A quel punto è possibile partire con la transizione, che può durare almeno tre anni. Durante questo periodo si scompone e si ricompone l’azienda un segmento alla volta in modo da renderla gestibile da figure professionali formate secondo criteri manageriali, di cui c’è ampia offerta sul mercato. Solo così l’azienda troverà una sua stabilità.

Riprogettare l’azienda in funzione degli standard

C’è una metafora che illustra chiaramente il concetto: le aziende (ma vale lo stesso per altri ambiti della gestione aziendale) gestite da chi le ha progettate, specie quando si tratta di persone di “prima generazione”, sono un po’ come le automobili del primo Novecento che si possono vedere al Museo dell’Auto di Torino. Non ce ne sono due uguali: erano veicoli che potevano essere pilotati dal loro progettista.

Inserire un manager che vuole fare il manager (e quindi agire sulle leve dei comandi) in un’azienda gestita dall’imprenditore è come mettere un professionista della guida, diciamo un taxista, in braccio al pilota di un’auto dei primi del ’900. Mentre il pilota guida, il taxista inizia a tirare leve a casaccio, spingere pedali, per capire cosa serva a cosa, visto che nulla è configurato in maniera standard, con risultati facili da immaginare. O si schiantano o viene espulso dopo pochi metri di strada. Per permettere a un taxista di guidare quel veicolo, concettualmente, bisognerebbe prendere una funzione alla volta, smontarla, riprogettarla e ricostruirla in modo standard. Al posto dei due volantini, uno per girare a sinistra e uno per girare a destra, uno solo, bello rotondo in mezzo. Al posto di tre leve per staccare e riattaccare motore e trasmissione, un bel pedale sulla sinistra per la frizione.

Lo stesso percorso vale per le aziende di impostazione padronale, ad hoc, progettate in base alle competenze delle persone che c’erano, che vanno riprogettate per renderle gestibili dalle figure professionali che oggi si trovano sui mercati.

Dalla gestione di persone alla gestione di processi

Il vero cambiamento dunque si registra con il passaggio progressivo da una “gestione di persone” a una “gestione di processi governati da persone”. Le aziende imprenditoriali cresciute sotto l’ala protettrice del fondatore sono inevitabilmente basate sulle individualità sviluppate al loro interno, dal responsabile commerciale al CFO. Se queste figure vengono meno, però, l’azienda rischia di andare in difficoltà.

A un modello così congegnato deve succederne un altro che metta al centro una codificazione strutturata del modus operandi e una serie di processi allineati con le best practice del mercato. La proceduralizzazione delle funzioni aziendali consente di fare una necessaria spersonalizzazione ed è il prerequisito per passare da una fase all’altra. In molte aziende imprenditoriali un operaio o un contabile che abbia necessità di un sostegno su come fare una cosa prende ancora a riferimento l’imprenditore e solo a lui delega la soluzione del problema. Attraverso la managerializzazione si farà riferimento a processi puntuali e condivisi, in grado di indicare i giusti approcci. Processi strutturati, ripetitivi, codificati e interpretati correttamente che, una volta accettati e messi in pratica, faranno superare il limite di essere legati a singole persone e consentiranno di accogliere nuovi professionisti.

I manager utilizzati per fare questo genere di percorso devono saper traghettare l’azienda in questa direzione, pianificando e gestendo il ricambio e la trasformazione dei processi e dei modelli. Devono sapere fin dall’inizio che non vanno in azienda solo ad agire sulle leve del comando, ma soprattutto a gestire l’imprenditore e a smontare e rimontare l’azienda passo passo, con il suo consenso. Il 70% del loro tempo sarà dedicato a fare “stakeholder management”. Il loro ruolo sarà quello di gestire una transizione verso un futuro manager che agirà in un contesto finalmente managerializzato e non dipendente dalla presenza o meno dell’imprenditore/fondatore.

Il passaggio generazionale non è solo “un affare di famiglia”

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